da Repubblica 07/07/2011 di Marco Lodoli*
OGNI grande città è un organismo contraddittorio, irriducibile a un’ unica spiegazione: e così a Roma la malavita avanza, le aggressioni si ripetono, il teppismo preoccupa, ma contemporaneamente tanta gente rialza la testa, esce da casa, riscopre il senso della partecipazione: e non è solo un dovere civico, un imperativo morale, è soprattutto felicità, condivisione gioiosa, allegria.È triste starea casa da soli a maledire il mondo, a temerlo. Nascondersi dietro una porta blindata è un’ anticipazione del sepolcro. Occupare un teatro e incontrare tanta gente che ha voglia di una città diversa, di una vita diversa, produce energia, endorfine, amicizie.
A San Lorenzo si sta mobilitando tanta gente del quartiere per impedire lo scempio di un casinò a piazza dei Sanniti. Fuori dal teatro occupato una famigliola sta mangiando pomodori al riso, bevendo vino bianco. Stefano, che lavora in una libreria a via dei Volsci, mi accoglie all’ interno con simpatia, ha letto l’ articolo dell’ altro giorno e mi invita a partecipare all’ assemblea che sta per tenersi. Una trentina di persone si siedono in circolo, sono giovani e meno giovani, hanno le belle facce di chi non ha perso la speranza. Inizia a parlare Guido, è entusiasta per il rilancio mediatico che ha avuto la loro battaglia grazie alla conferenza stampa di Capezzone e dei rappresentanti della proprietà dell’ ex cinema Palazzo. «È stato un boomerang, hanno trattato la signora Franca della frutteria e la signora Adele come due black bloc, fa così ridere che domani festeggeremo con un Capezzone party, forse verrà Pietro Sermonti del gruppo di Boris a leggere le poesie di Bondi!». Insomma, la lotta va avanti: «Non vogliamo più essere chiamati gli occupanti – dice un signore – noi siamo dei dissidenti, noi vogliamo capire cosa c’ è dietro questa operazione, se è vero che il governo ha rilasciato duecento licenze per aprire in tutta Italia queste spaventose maxibische. A che servono, quale denaro devono riciclare, quanto schifo devono produrre?». Simona di Action è determinata e lucida, vuole capire chi è che ha concesso il permessoa un’ attività del genere, chi ha firmato le autorizzazioni. Con altri andràa chiedere,a pretendere, a insistere. Non si può accettare che San Lorenzo scivoli nel degrado, che divenga un quartiere malavitoso e disperato. Insomma, all’ ex cinema Palazzo nessuno ha voglia di mollare, meno che mai ad agosto: si salteranno le vacanze perché la vita è qui, adesso.
Al Valle l’ atmosfera è ancora più festosa. Mi viene da pensare che dovrebbe continuare per sempre così, con attori e attrici e musicisti e scrittori che salgono sul palco e per venti o trenta minuti cercano di dire e fare qualcosa di bello. Come nel teatro del Settecento, la gente ascolta, applaude, si diverte, partecipa, senza dover tacere per due ore davanti al grande spettacolo, al capolavoro. Roberta Lena, una delle occupanti della prima ora, mi porta in giro per i corridoi del teatro. Sua figlia Maria Edgarda, vent’ anni, sul palco l’ altra sera ha letto Foscolo. Vedo Favino che si prepara a recitare l’ invettiva contro l’ indifferenza di Gramsci, e poi Elio Germano,e gli Afterhours e tanti altri artisti noti e meno noti. Parlo con Mauro, macchinista storico del teatro: «A me di andare a cambiare le spine elettriche al ministero non mi va, io voglio continuare a lavorare qui». La platea è pienissima, e per strada c’ è tanta gente che non può entrare perché i posti sono finiti. Ecco, il Valle non può tornare a essere un teatro qualsiasi: deve assorbire questa spinta vitale, tutto il vento portato dalla gente, deve trasformarsi in un laboratorio costante, in uno spazio aperto, in un luogo di incontro reale e immaginario. Tanti giovani si sono stufati di stare seduti e zitti, di comprare il biglietto e fare i bravi spettatori. Quell’ epoca è conclusa. Ora si sente il desiderio di condivisione, la volontà di avere un ruolo attivo nella vita e nella società. Questo vento ha spazzato via i gas soporiferi. «Io vengo al Valle tutte le sere – dice un ragazzo – mi piace ascoltare Benigni e Dario Fo e Moretti, ma mi piace ancora di più percepire che qui tutto è possibile: questo teatro oggi somiglia alla sala della Pallacorda, dove è cominciata la Rivoluzione francese. Siamo stanchi di non contare niente. Roma sta cambiando, noi la stiamo cambiando». –
* Scrittore, Insegnante e giornalista