Riceviamo e pubblichiamo una nota di Gian Carlo Marchesini scritta durante la serata di Martedì
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L’ex cinema Palazzo ieri sera era una caverna spettrale e un inquietante antro.
Mancava la luce, il generatore si era inceppato, dentro la sala era al buio e faceva freddo. Un paio di lampade di emergenza, tipo ospedale, illuminavano la scena e il palco. La sala era comunque stracolma. Dentro, stipate sui tubolari della gradinata avuta in prestito, ascoltavano in silenzio e applaudivano in oltre cinquecento. Assiepati davanti al cinema almeno altrettanti premevano senza potervi entrare. L’umidità della notte infreddoliva e gelava, ma i gruppi e i capannelli dei convenuti sobbollivano di eccitazione. La mattina i vigili avevano tentato di apporre i sigilli e sbarrare gli ingressi. Gli abitanti del quartiere, chiamati a raccolta dalle sentinelle sugli spalti, erano accorsi numerosi e determinati.
Qui ci sono in gioco questioni importanti: ad esempio chi decide delle forme di vita associata nel quartiere, chi stabilisce il fine e l’utilizzo delle loro migliori risorse. E poi: cosa è, come funziona, che senso ha la vita pubblica in una città, e a che serve la politica? Perché, cosa fa sì che nel giro di poche ore un frenetico tam tam via mail e sms riesce a chiamare a raccolta un migliaio di persone, giovani prevalentemente, a riunirsi pigiati e scomodi in un antro gelato e buio, per ascoltare, intervenire, concordare o dissentire, fischiare o applaudire? Lì non ci sono in ballo riconoscimenti e premi, non si degustano cibi raffinati e vini, si sta infagottati in piedi a rischio di inciampare. Questa è l’ora delle decisioni gravi, possono scattare mandati di comparizione e arresti.
Uno spazio cospicuo e pregiato in un quartiere strategico è rivendicato dal proprietario che ne vuole ricavare una montagna di denaro spacciandovi tossicodipendenza sotto forma di gioco d’azzardo. La parte attiva e combattiva del quartiere e della città, quella civile e civica che ancora, malgrado tutto, non si arrende, è disposta anche alle barricate. Sono quelli che a mali estremi si oppongono con chitarre e appassionate voci, le mani nude e la presenza vibrante e massiccia dei loro corpi…. …. Si discute di esercizio dei fondamentali diritti e di rispetto della legge, di primato del bene comune e collettivo e della intangibilità della proprietà privata come macchina che produce per pochi ricchezza e profitto.
In un drappello di giovani cospiratori ad arringare c’è Marco Bellocchio. A riprendere le scene, con gli occhi a fessura e sguardo tagliente manca solo Mario Martone. Potrebbe girare qui il suo nuovo film, di cui suggerisco il titolo: Noi ancora crediamo.
Il presidente del III Municipio, districandosi tra i tanti che gli chiedono coraggio e lumi, mi ricorda che compito della politica è trovare nel groviglio di interessi e conflitti una soluzione che sia frutto della mediazione più alta possibile. Gli rispondo che tra lo zero della paralisi, o il sottozero del casinò, c’è l’orizzonte irrinunciabile, mai pienamente raggiungibile ma a cui assolutamente tendere. E a ricordare che quell’orizzonte esiste ci vuole qualcuno che testardamente lo segnali.
Insomma, una bella serata, da atmosfera di vecchia quarantottesca Repubblica romana con vibrazioni telluriche da nuova risorgimentale insorgenza. Dalle vetrate di Pommidoro, Moravia, Pasolini e la Morante mandano ampi gesti di incoraggiante saluto. Dentro la sala, sul palco, arringa Luigi Manconi con la vociona stentorea e il suo accento inguaribilmente sardo. Dalle finestre del soprastante reparto di psichiatria infantile sorride rincuorato e felice Marco Lombardo Radice.
E poi dice che non bisogna occupare perché è illegale e fa male alla salute… Meglio che i ragazzi vengano ingoiati dentro sale sbrilluccicanti a smanettare e farsi succhiare come larve da slot machines vampiresche?