Mercoledì 27 Giugno torna il Teatro al Cinema Palazzo.
“Senza Lear” con la compagnia Isola Teatro e la regia di Marta Gilmore
“Noi dobbiamo accettare il peso di questo tempo triste.
Dire ciò che sentiamo e non
ciò che conviene dire.
I vecchi hanno sopportato di più:
noi che siamo giovani non vedremo tanto
né tanto a lungo vivremo.”
Shakespeare, Re Lear, V, iii
SENZA LEAR
Vincitore del Premio Lia Lapini 2009
con
Armando Iovino – Aglaia Mora – Elisa Porciatti
Drammaturgia collettiva di Isola Teatro
Assistente alla regia Vincenzo Nappi
Regia
Marta Gilmore
con la collaborazione di Alex Guerra
Immaginiamo di essere tre sorelle, chiuse in una stanza, che aspettano di essere chiamate a fare una dichiarazione d’amore pubblica al loro papà, il Re. In cambio, se tutto andrà come deve andare, riceveranno la loro eredità. Terre, fiumi e campagne, il potere e la responsabilità di gestire lo Stato, stanno aspettando di passare di mano. I giovani diventeranno adulti e i vecchi, vecchi. Il ciclo della vita si compirà, naturalmente. Immaginiamo che l’unica cosa che ci viene chiesta sia dichiarare pubblicamente il nostro amore. Immaginiamo che questo amore debba essere più caro della vista degli occhi, di spazio, e libertà.
Ah, un’altra cosa. Cento cavalieri. Immaginiamo cento cavalieri uno dietro l’altro, ognuno con il suo cavallo. Immaginiamoli tutti insieme dentro casa nostra. Ma non sempre, eh? Immaginiamo che faremo a turno, noi sorelle, che il Re nostro padre verrà a stare un po’ dall’una e un po’ dall’altra, a spese nostre, con i suoi cento cavalieri e i loro cento cavalli. In cambio avremo la nostra eredità. Terre, fiumi, campagne. Il potere, le rendite, lo Stato. Immaginiamo che stia per avvenire. Che stia lì lì per avvenire…
Ci perdoni se può papà Shakespeare. Ci perdoni se, come Cordelia, non riusciamo a sollevare il cuore fino alla bocca per dire le sue parole, per mettere in scena il suo testo. Ci perdoni se non ne abbiamo i mezzi. Se l’unico modo che abbiamo di dichiarargli il nostro amore, il debito inesigibile che abbiamo contratto nei suoi confronti, è spezzare il rituale ed accontentarci di un futile chiacchiericcio, dei nostri corpi fragili, dell’immaginazione. Che ci porta a fare i conti con lui, senza di lui. Immaginandoci figli di questo padre immenso. Cercando di rispondere alle sue richieste con la nostra (in)adeguatezza. Nei panni di questi giovani – che non sono neanche più tanto giovani – condannati comunque a vedere meno e vivere di meno di chi è venuto prima. Come Goneril, Reagan e Cordelia. In panchina, aspettando che papà ci chiami dentro. Senza potere, senza denaro, senza governo.
Senza figli, ahimé, e senza futuro.
Senza Lear.
Marta Gilmore
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