Riportiamo l’inchiesta di DinamoPress sulle mobilitazioni degli studenti, aspettanto la primavera..
DinamoPress ha incontrato gli studenti di diverse scuole di Roma (Aristofane, Francesco d’Assisi, Gaio Lucilio, Righi, Mamiani, Anco Marzio) per ragionare insieme su esperienze e prospettive, di vita e di movimento, dopo l’intenso autunno 2012. Ci siamo confrontati per quasi due ore sulla balconata del Cinema Palazzo occupato, snocciolando questioni in ordine sparso. Il risultato è il testo qui pubblicato, attraverso il quale proviamo a restituire la complessità del ragionamento e delle diverse esperienze vissute nel movimento degli studenti medi. L’autunno ha messo in evidenza il protagonismo e la radicalità della generazione nata a metà degli anni ’90, cresciuta nelle lotte e nei tumulti studenteschi del 2008/2010. Consapevoli di non poter esaurire in un singolo incontro la straordinaria esperienza che ha portato alla mobilitazione di migliaia di ragazze e ragazzi, vorremmo iniziare un percorso di inchiesta e conricerca. Per leggere e raccontare insieme le trasformazioni, le tensioni e i desideri soggettivi, le pratiche di lotta e le forme di vita di questa nuova generazione ribelle.
In queste settimane diversi appuntamenti hanno rimesso in moto studenti e insegnanti. Lo scorso 2 febbraio a Roma c’è stata una manifestazione nazionale del “coordinamento scuole” che ha collegato la questione scuola a quella della sanità. Il 15 febbraio è stata lanciata una data di mobilitazione degli studenti medi dislocata in diverse città italiane, il primo marzo sarà la volta di Milano. Nel frattempo a Roma, in diversi quartieri (Montesacro e Ostia) si sono organizzati cortei territoriali di studenti e docenti. Nei prossimi mesi capiremo se questo movimento saprà superare l’autunno e accendere la primavera.
Un movimento che va dalla periferia al centro, dalle scuole ai territori
Osservando e incontrando nelle piazze e nelle assemblee il movimento studentesco dell’autunno 2012 ci siamo resi conto di come sia partito principalmente dalle periferie di Roma per poi raggiungere il centro, e di quanta importanza abbiano avuto i coordinamenti su base territoriale affianco a quelli cittadini.
La mobilitazione nella capitale è partita da Ostia, nello stesso tempo città a sé ed estrema periferia della metropoli Roma. Qui la protesta è partita il 29 ottobre, ma è esplosa il 5 novembre quando, come racconta Federico del liceo Anco Marzio«c’è stato un vero e proprio boom di occupazioni, praticamente di tutte le scuole e per la prima volta anche di tutti gli istituti tecnici. Si è creata una sorta di zona liberata, perché le scuole sono tutte vicine e hanno creato un ottimo rapporto con il quartiere». La mobilitazione, partendo dalle scuole, si riversa subito sul territorio, intrecciandone le problematiche. Il 30 novembre, ad esempio: «è stato organizzato un corteo di pomeriggio che ha portato in strada più di 2000 persone, fatto mai successo prima a Ostia. Il corteo, dopo essere passato sotto il Municipio per gridare la propria sfiducia al Presidente Vizzani, responsabile dello sgombero del Teatro del Lido, è finito alla Casa della cultura, la ex colonia Vittorio Emanule II. Questo spazio doveva essere destinato ai giovani, attraverso uno stanziamento di due milioni di euro, ma finora non si è mosso nulla. Il corteo ha quindi rivendicato l’utilizzo degli spazi per i giovani del territorio». Rivendicazioni di spazi e politiche per i giovani, nonché l’alleanza con altre realtà sociali del XIII municipio sono scelte naturali per gli studenti, come si legge anche nei comunicati e nei volantini firmati “gioventù lidense”.
Coordinamenti territoriali sono nati anche in altri territori. In IV municipio (zona Tufello, Montesacro, Talenti) come racconta Davide, dell’Aristofane: «è stato molto emozionante perché scuole che da tempo non occupavano hanno occupato, sapendo dare grande centralità alla capacità di coordinarsi». Il coordinamento ha come unica discriminante l’antifascismo e s’incontra «spesso al Brancaleone oppure all’Astra. Proviamo a darci una linea comune, facendo volantini che firmiamo come Collettivi del IV municipio. Abbiamo come abitudine quella di fare spezzoni territoriali molto numerosi, per unirci ai cortei citadini. Facciamo volantinaggi comuni e portiamo avanti iniziative nelle scuole in maniera coordinata».
In VI e VII (Centocelle, Pigneto, Prenestino, Tor Pignattara, Tor Sapienza) un coordinamento esiste dal 2010. Come ci raccontaGiacomo del Francesco d’Assisi «è composto da cinque scuole: Francesco d’Assisi, Kant, Benedetto da Norcia, Lattanzio e Levi Civita. Durante questo autunno nei nostri quartieri abbiamo riscontrato molti lati positivi rispetto alle precedenti mobilitazioni. C’è stata una maggiore partecipazione da parte degli studenti, soprattutto alle iniziative territoriali come assemblee in piazza, concerti e volantinaggi». Anche in queste periferie i problemi vanno oltre la scuola e da qui nasce l’esigenza degli studenti di coinvolgere l’intero municipio. «Il 14 Novembre siamo scesi in piazza in più di mille dalle nostre periferie e questa cosa è molto importante perché, dopo due anni di lavoro nelle scuole, siamo riusciti a costruire una rete forte di studenti».
Qualcosa di ancora diverso è accaduto a San Lorenzo (in III municipio) che, pur se situato in centro, mantiene alcune caratteristiche del quartiere “popolare”, investito inoltre dalla presenza universitaria e da un’intensa vita politica, culturale e sociale. Il 14 novembre gli studenti del Gaio Lucilio creano uno spezzone che raggiunge l’Università, come ci spiega Cristiano: «il 14 abbiamo costruito assieme al Cinema Palazzo un corteo per le strade del quartiere, molto partecipato da noi studenti, che ha raggiunto l’Università La Sapienza. Dopo il 14 Novembre abbiamo sentito la necessità di occupare la nostra scuola e di portare avanti delle iniziative di mobilitazione nel quartiere, come quando siamo partiti in corteo che dalla nostra scuola per bloccare le vie del quartiere, fino al Verano. Abbiamo anche costruito un evento musicale in Piazza dell’Immacolata insieme agli Assalti Frontali, con l’obiettivo di liberare una piazza del quartiere che vive da anni una situazione di forte degrado. Dal punto di vista del movimento siamo riusciti ad unire le istanze di mobilitazione che provenivano dal mondo delle scuole con un lavoro forte all’interno del territorio».
I motivi della protesta
Il movimento degli studenti è stato tanto forte e diffuso da rappresentare quasi l’unica opposizione alle politiche di austerity del governo Monti. Un movimento che a tratti è sembrato capace di andare molto oltre le rivendicazioni legate alla singola riforma.Annalisa, del Mamiani ci spiega come sia stata proprio la centralità della riforma a permettere l’enorme diffusione del movimento. «In questo autunno abbiamo visto l’esplosione di una protesta molto incentrata sul Ddl ex Aprea. Secondo l’analisi che abbiamo fatto nel nostro collettivo, quest’anno c’è stata l’esigenza di ripartire dalle scuole, rispetto ai movimenti degli anni passati che dopo il movimento dell’Onda, per uscire dallo studentismo, avevano approfondito meno il lavoro all’interno delle scuole. Adesso c’è un po’ il fenomeno opposto e proprio grazie a questo si è creato un movimento tanto forte, che ha maturato una consapevolezza diffusa sui rischi che ci sono ancora oggi (nonostante il parziale stop) di una proposta di legge di questo tipo. Il blocco di questa riforma sicuramente è una parziale vittoria, ma secondo me è dovuto al tatticismo politico dei partiti che vogliono rimandare il problema, dato che siamo in un periodo di campagna elettorale».
Stefano, del Righi, evidenzia il legame tra la riforma della scuola e rivendicazioni più ampie. «Quest’anno l’ex DDl Aprea è stato centrale nelle mobilitazioni e ha permesso di coinvolgere la maggioranza degli studenti perché si sono sentiti attaccati in prima persona. Grazie a questo è stato possibile condividere analisi e ragionamenti anche più ampi, come le politiche di austerità, il governo Monti, la lettera della Bce, i tagli a sanità e welfare, tra cui l’istruzione. Forza del movimento è stato mettere in relazioni le questioni a partire da quelle più vicine agli studenti. Più soldi alla scuola pubblica, i privati non li vogliamo, la democrazia nella scuola. Ma siamo riusciti a dire che non vogliamo nessun taglio al welfare, che rifiutiamo l’austerità nel suo complesso. Le banche hanno creato la crisi, noi non la vogliamo pagare».
Il rapporto con i docenti
A mobilitarsi contro il DDl ex Aprea e contro il paventato taglio delle ore di docenza non sono solo gli studenti ma anche docenti, precari e non. Un rapporto contraddittorio, quello tra le lotte degli studenti e i professori, che ha prodotto esiti diversi: dal conflitto aperto alla mobilitazione comune.
Esemplificativo sembra essere quanto accaduto al Righi dove, come ci racconta Stefano: “all’inizio ci siamo mobilitati assieme andando alla manifestazione dei professori, discutendo in tutte le classi dei contenuti del DDl. Poi, da quando abbiamo deciso di occupare, ognuno è andato per la sua strada. Il loro problema era il rispetto della “legalità”, non hanno capito il valore di dare un segnale forte, di cosa vuol dire per noi occupare e autogestire la scuola”. Stefano continua a spiegarci: “come ci siano state anche eccezioni, con alcuni professori che hanno partecipato alla didattica alternativa; i genitori invece sono stati molto vicini e solidali”.
A Ostia le cose vanno in modo molto diverso, e il rapporto tra studenti e professori è assimilabile ad un vero e proprio muro contro muro: “i docenti hanno dato il via ad una vera e propria repressione. – racconta Federico – All’Anco Marzio una studentessa è stata strattonata e sbattuta al muro dalla vicepreside perché aveva aperto i cancelli agli studenti. Dopo le occupazioni ci sono stati vari atti di rappresaglia da parte dei professori, anch’io in prima persona ho subito un consiglio di classe straordinario per chiedere la mia sospensione, dopo un litigio con un professore della Cgil. I docenti, che quando si parlava di opposizione alla legge di stabilità dicevano di appoggiarci, appena abbiamo cominciato a organizzare assemblee straordinarie si sono messi in prima fila per non farci passare e per ostacolarci in ogni modo”.
Il nodo sembra essere la capacità degli studenti di autorganizzarsi, di rompere la normalità della vita scolastica, e i più attivi nel tentativo di ostacolare gli studenti sono proprio i professori più politicizzati a sinistra, magari attivi nel sindacato: “volevano che lottassimo come decidevano loro, come gli faceva più comodo”.
Sono proprio dei docenti della CGIL che, per “spiegare” agli studenti che l’obiettivo è stato raggiunto con lo stop parlamentare dell’ex DDl Aprea, invitano a Ostia un deputato del Pd, Giovanni Bachlet, responsabile della commissione cultura della Camera. “Noi abbiamo organizzato un presidio di un centinaio di studenti e precari per protestare contro la decisione della Cgil che, prima ha osteggiato le occupazioni, poi ha invitato un deputato per convincerci che era sufficiente il voto contrario della commissione parlamentare”.
Al Mamiani invece il rapporto con i docenti è più che positivo, come spiega Annalisa: “abbiamo fatto l’autogestione nella consapevolezza di non andare a creare un vero e proprio momento di conflitto, ma forti di un’adesione dei professori alle attività di didattica alternativa. Abbiamo vissuto un po un unicum nel rapporto con i docenti, rispetto ad altre scuole, dove si è vissuta la dicotomia tra i professori del “coordinamento scuole” che scendevano in piazza con gli studenti e i professori che nelle singole scuole osteggiavano o non partecipavano alle proteste”. Una scuola intera che si mobilita in tutte le sue articolazioni. “L’ultimo giorno abbiamo organizzato una sorta di processo simbolico alla proposta di legge insieme ai professori, con tanto di toghe e sassolini. Non che la cosa ci esaltasse, ma abbiamo trovato questa forma di compromesso con i professori all’interno della scuola e poi, nella settimana di mobilitazione, ci siamo concentrati su momenti di conflitto esterni alla scuola, con blocchi del traffico, azioni e manifestazioni tutti i pomeriggi”.
Cristiano del Gaio Lucilio ci riporta la situazione nella sua scuola, in cui il rapporto con i docenti ha subito un profondo cambiamento rispetto al movimento del 2010. “Abbiamo riscontrato una grande solidarietà da parte dei professori, gli stessi che due anni fa, con il movimento contro il DDL sull’università, criticavano la forma di protesta dell’occupazione. Abbiamo avuto qualche problema con il preside ma siamo comunque riusciti a reagire alle minacce di sgombero che voleva avanzare”.
10, 100, 1000 occupazioni
La pratica dell’occupazione, che da sempre caratterizza le mobilitazioni di studenti medi e universitari, aveva subito una battuta di arresto significativa negli ultimi anni, a causa di pesanti provvedimenti repressivi, ma anche per una percezione diffusa che l’additava come facile scusa per perdere giorni di scuola. Le occupazioni che si sono diffuse a macchia d’olio nel corso dell’autunno 2012, hanno invece mostrato una realtà ben differente da quella immaginata da presidi, docenti, genitori ed opinione pubblica, come ci racconta Davide del Liceo Aristofane. “Queste occupazioni sono state realmente “costruttive”. Sono riuscite a fare qualcosa in più rispetto a come solitamente vengono descritte (semplicemente un momento per poter saltare scuola). Hanno rappresentato un fondamentale momento di riflessione su quelle tematiche che riguardano direttamente noi giovani”.
Anche Giacomo, del Francesco d’Assisi, ci parla della dilagante diffusione delle occupazioni nel territorio, e della capacità degli studenti di coinvolgere altri compagni, riuscendo a vincere perplessità e scetticismi attraverso momenti di confronto pubblico. “Tutte le scuole che fanno parte del Coordinamento quest’anno hanno occupato. Nella mia scuola abbiamo avuto dei problemi non tanto con i professori ma con gli studenti stessi. Alcuni infatti avevano delle perplessità rispetto all’occupazione e la consideravano una forma di protesta inutile. Dopodiché, attraverso il confronto nelle assemblee, siamo riusciti a far capire la necessità e la legittimità di questa pratica e siamo arrivati alla fine ad occupare praticamente tutte le scuole del VI e VII Municipio. Noi abbiamo deciso di occupare per mandare un segnale forte dal quadrante della città che ci interessa direttamente.. e spero e credo che ci siamo riusciti”.
Stefano riporta il percorso che ha portato alla decisione di occupare la sua scuola, il Righi, dopo 10 anni in cui questa pratica era stata abbandonata. “A scuola nostra i motivi della protesta sono stati discussi in assemblea. Il ragionamento è partito dal collettivo, dai più politicizzati, ma il bisogno di muoversi e fare qualcosa era sentito dalla maggioranza degli studenti e si è materializzato nell’occupazione. Dopo 10 anni, abbiamo occupato entrambe le sedi. Il nostro ragionamento è stato: abbiamo un’altra idea di scuola. Non il casermone dove il professore ci imbottisce di nozioni per 6 ore al giorno e basta. Un’idea di scuola partecipata che forma un cittadino in grado confrontarsi nella società con gli strumenti adeguati per ragionare e relazionarsi, oltre le normali materie.
L’altro motivo è stato quello di bloccare la didattica come forma di protesta e conflitto, anche coordinata a livello cittadino. Un’azione non solo della nostra scuola ma inserita all’interno di tutto il movimento. L’occupazione è stata decisa in molte assemblee. Le abbiamo fatte di pomeriggio e fuori scuola perché usare i locali della scuola non ci era permesso”.
Sempre Stefano ci racconta delle attività organizzate nel corso delle giornate in cui il Righi è stato occupato, e del modo in cui gli studenti e le studentesse hanno attraversato ed animato quest’esperienza, attraverso assemblee, seminari, confronti e momenti di riappropriazione degli spazi del proprio istituto. “Uno dei risvolti più belli dell’occupazione è stato che per la prima volta la scuola l’abbiamo sentita come nostra. Gli studenti non si riconoscono nell’istruzione pubblica, a scuola ci vanno perché costretti, quando invece non vorrebbero andarci. La scuola viene vissuta come una prigione ma nel momento in cui gli studenti si attivano in prima persona nel loro percorso formativo, la sentono come propria, come un bene comune. Gli stessi muri, gli stessi banchi che vengono sporcati durante tutto l’anno, durante l’occupazione vengono puliti dalle stesse persone che solitamente li sporcano. Perché? Perché in quel momento sono sentiti come un bene comune, come un bene di una collettività di cui ci si sente partecipi, mentre prima la scuola era vista solo come luogo che ti fornisce una formazione scadente e parziale, quella che ti fa compilare i test invalsi”.
[…continua la lotta, continua l’inchiesta]