I – Il Gioco industriale di massa e lo Stato
Appunti dal ciclo di seminari Facciamo i conti con l’Azzardo, Nuovo Cinema Palazzo, 3,6,7 maggio, in collaborazione con la Cooperativa Sociale Parsec.
Sarah Gainsforth – Nuovo Cinema Palazzo
«Una recente pubblicazione del Dipartimento delle Politiche Antidroga stima i giocatori patologici tra lo 0.5 e il 2.2% della popolazione generale, ovvero tra i 300 mila e 1.3 milioni di giocatori patologici». Non ci sono dati più precisi perché «lo Stato si è rifiutato di misurare l’impatto dell’introduzione del gioco d’azzardo sulla popolazione nelle sue diverse articolazioni sociali e sanitarie. Tale mancanza, del tutto colpevole e volontaria, persiste a tutt’oggi» (ALEA, Associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio).
Il picco mediatico intorno al fenomeno del gioco d’azzardo, con la tematizzazione dell’emergenza da una parte e l’uso di una terminologia fuorviante dall’altra, coincide con l’espansione massima raggiunta dal gioco d’azzardo.
Diciamo come stanno le cose: il gioco d’azzardo è una bolla speculativa che, secondo Maurizio Fiasco, sociologo, esperto in dipendenze da gioco, sta per scoppiare.
Cresciut0 grazie alla “mancanza” di cui sopra, il “sistema gioco” si alimenta sulla povertà, sul peggioramento delle condizioni economiche e sulla manipolazione emotiva di quanti sono già stritolati nella morsa dalla speculazione selvaggia e dal debito, dalle misure di austerity, quelle del salvataggio delle banche, dei tagli al welfare, dell’attacco ai diritti umani fondamentali. Il gioco d’azzardo è quasi il colpo di grazia.
Una crisi antropologica, oltre che economica, fa da sfondo alla sua espansione.
Pensiamo alla trasformazione nel tempo dei programmi televisivi con poste in denaro. Quando la televisione ancora non era a colori la partecipazione al “gioco” richiedeva una certa “bravura”, si aveva qualcosa da dire, e come per un esame ci si vestiva a festa. Il registro cognitivo di questo modello di gioco ad un certo punto è cambiato, diventando spettacolo: sono cambiate le forme, i modelli, l’abbigliamento -quel che ne rimane, sui corpi femminili. Da dieci anni a questa parte, non dobbiamo più sapere nulla. Il registro è quello generalista delle emozioni, dalla televisione al gioco d’azzardo alla pubblicità: la tensione, la suspense, la speranza di vincere, di azzeccare. “Te la senti?”
Ma il gioco d’azzardo non è un gioco. La sua diffusione capillare è uno dei segni più evidenti della finanziarizzazione delle nostre vite, della perdita di sovranità che con la crisi economica ha colpito le nazioni, gli individui, le scelte: abbiamo perso la sovranità dei nostri corpi, la nostra capacità di scelta, di cura, di automedicazione. Nella shock economy non conta la conoscenza ma l’emozione, il gioco premia la fortuna; l’abilità, la scelta, la capacità di determinazione del proprio futuro, non c’entrano.
Il sistema di regolazione e il modello di intervento dello Stato cambiano non a caso per la prima volta con la crisi finanziaria del 1992. Da una politica di contenimento del gioco percepito ancora come disvalore etico-sociale si passa a una fase in cui il gioco diviene leva fiscale utile al bilancio dello Stato. Si moltiplicano e cambiano le forme del gioco.
Se prima il gioco era limitato e contenuto in una dimensione di ritualità che ne determinava i tempi, i luoghi, l’accesso, la separatezza ed il carattere elitario, il gioco a bassa frequenza e alta remunerabilità viene stravolto. Nascono le lotterie istantanee del gratta-e-vinci: si annulla l’attesa, subentra la compulsione. Il consumo di gioco, come sperato, cresce.
Affinché continui ad espandersi la base dei consumatori, le quote dei montepremi vengono trasferite alle vincite popolari, con l’obiettivo di un “trattamento della frustrazione” attraverso l’aumento delle prospettive di vincita, irrisorie ma oculatamente gratificanti. In realtà, c’è alla base del gioco d’azzardo un’ illusione cognitiva secondo la quale più altro è il costo del biglietto più alta sarà la vincita, ma grazie alla quantità di giocate effettuate in realtà ad aumentare è sempre la perdita a favore del banco, delle concessionarie e dello Stato. Semplificando, si può dire che lo Stato incentivi il gioco di massa con vincite basse ma frequenti, aumentando il pay-out per incrementare la base di giocatori, alimentando un sistema che, nonostante si continui a parlare di “industria del gioco”, industria non è. Con un indotto marginale, il gioco non genera crescita economica: il gioco non produce altra domanda che il gioco stesso. Il denaro vinto, il pay-out, non circola ma viene re-immesso nel sistema alla giocata successiva. Con il dirottamento e la sottrazione della spesa per il gioco dai consumi ordinari lo Stato rinuncia a una fetta importante di entrate derivanti dalle imposte sui consumi al 21 %, a fronte di imposte sul gioco di gran lunga inferiori, che possono scendere fino allo 0% per il gioco online.
Il modello di prelievo fiscale indiretto introdotto dal gioco non solo non funziona ma è in netto contrasto con il modello tributario fondato sulla progressività dell’imposta: nel gioco d’azzardo chi ha di meno spende di più. Il perverso meccanismo del “furto ai poveri”.
Dal 1992, passando per l’introduzione in Italia del Bingo nel 2001, al 2003, quando lo Stato incrementa ulteriormente l’economia dei giochi con l’obiettivo della creazione di valore aziendale, passando per la legge Bersani-Visco del 2006 che ha permesso l’ingresso sul mercato di operatori stranieri, fino al 2011 quando Berlusconi ha liberalizzato il gioco online, il fatturato legato al gioco è cresciuto fino alla famosa cifra degli 80 miliardi di euro nel 2011 (di cui 15,5 miliardi di giro d’affari per il gioco online) 87 miliardi per il 2012 ufficiosamente. Ma in realtà lo Stato incassa sempre meno: cresce la spesa dei consumatori, diminuisce il prelievo erariale.
“La spesa di chi tenta la fortuna è di oltre 18 miliardi di euro all’anno, visto che 61 dei 79 miliardi vengono restituiti in vincite. Nelle casse dello Stato ne entrano circa 9, solo un ottavo del giro di affari complessivo, meno quindi del 21 percento di Iva applicato al consumo.” Luigi Franco, Il Fatto Quotidiano, 6 settembre 2012.
Quando i giornali annunciano che la spesa per il gioco è calata nel 2012 in realtà non si riferiscono ai dati della spesa reale immessa nel sistema gioco (79 miliardi), comunque superiore del 20% alla spesa del 2011, ma alla quota trattenuta da Stato e concessionarie, che diminuisce, ma è comunque pari alla spesa nazionale per la Difesa militare.
Cifre a quanto pare non sufficienti per motivare un serio approccio legislativo e tanto meno una voce nelle manovre finanziarie tanto attente a tagliare fondi in ambiti fondamentali per la vita e la salute dei cittadini.
Il meccanismo è quello della bolla speculativa: impiego di denaro crescente e minori margini di profitto per consentire l’espansione della base di consumatori e alimentare il sistema. Per reggere, la base dei giocatori dovrebbe crescere all’infinito. Ma il limite fisico di questa espansione è stato già raggiunto, ed è stato raggiunto da un pezzo: si gioca tutti, ovunque, sempre. Si gioca al tabaccaio, online, sul telefonino. Nascono in continuazione nuovi giochi, sempre meno remunerativi per lo Stato. Emerge intanto il tema del gioco d’azzardo patologico nei media, impropriamente denominato “ludopatia” (non ci si ammala di gioco) con qualche anno di ritardo.
L’allargamento della base dei giocatori dovrebbe compensare il debito che le concessionarie del gioco hanno contratto con le banche, avendo anticipato allo Stato le quote necessarie a ottenere le concessioni. Tuttavia la mancata crescita del “settore gioco” pone serie difficoltà al piano di rientro delle concessionarie sovraesposte costrette a rifinanziare il debito con la promessa di una futura redditività.
E’ forse per questo che lo Stato “consente ai concessionari di maturare interessi bancari attivi sul cash flow. Sapete quando vengono pagate le vincite consistenti? Dopo almeno tre settimane dall’evento. Tre settimane di interessi a vantaggio della “raccolta”. Un altro regalo che senza saperlo i contribuenti accordano ai diretti interessati.” (Maurizio Fiasco, Azzardo di Stato, recessione economica e debito pubblico).
Se le concessionarie e le banche dovessero rivelarsi insolventi la finanza derivata del gioco crollerebbe con effetti devastanti sull’economia. Lasciando ai contribuenti un altro debito da pagare?
Riparleremo presto di gioco d’azzardo, dell’impatto sociale, degli aspetti legati alla salute e alla trasformazione della città. Racconteremo del ruolo fondamentale di contrasto e di resistenza della comunità, e di alcune interessanti iniziative.