Siamo a Gerusalemme. Facciamo i turisti per un paio di giorni. Siamo alloggiati in un ostello nella parte araba della città vecchia, vicino alla porta di Damasco, in cima alle scale strette di una traversa del suk. Prendiamo confidenza con il luogo, prima di incontrare Itamar, un ragazzo israeliano che ci accompagnerà per due giorni. Vediamo Gerusalemme con lui, con occhi diversi.
La prima tappa è un villaggio palestinese distrutto durante la guerra del 1948. Scendiamo in una valle attraverso una strada sterrata. Entriamo in una casa, in una stanza, i segni dei proiettili su una parete. Itamar ci racconta un po’ di storia. Gli stessi eventi, le stesse parole, gli stessi simboli hanno significati diversi per un israeliano e per un palestinese. La guerra del ’48 segna l’indipendenza dello stato di Israele, ma è la nakba per i palestinesi, la catastrofe, quando queste case, rimaste vuote, sono passate legittimamente al nuovo stato. I fichi d’India sono il simbolo della forza e della crescita dello stato di Israele. I giovani israeliani sono soprannominati sabra, fichi d’India. Ma sono anche il simbolo di villaggi palestinesi distrutti come questo e ricoperti dai fichi d’India. E poi c’è la legge del ritorno, per cui qualunque ebreo voglia venire a vivere in questo paese diventa cittadino israeliano appena mette piede all’aeroporto di Tel Aviv, opposta al diritto al ritorno, quello che rivendicano i palestinesi scacciati nel ’48 da villaggi come questo.
La seconda tappa è in un villaggio palestinese ancora abitato. Lo attraversiamo. Strade senza marciapiedi, immondizia ai lati, case fatiscenti. Poi un condominio di lusso, e all’improvviso compaiono marciapiedi puliti e prati all’inglese dietro a cancellate alte tre metri punteggiate di telecamere, sbarre alle finestre e bandiere israeliane che sventolano dappertutto. E’ una colonia nella grande Gerusalemme, dove vivono israeliani protetti giorno e notte da servizi di sicurezza pagati dallo stato. E’ la prima colonia che vediamo. Ora sappiamo come riconoscerla. Ora che lo sai ne vedi tante. Perfino nel quartiere arabo della città vecchia di Gerusalemme. Tra i vicoli antichi del suk, tra negozi di spezie e venditori di frutta e verdura, basta alzare lo sguardo per vedere qualche balcone che sembra una gabbia di metallo, telecamere, bandiere, porte blindate. Ci spiega Itamar che alcune giovani coppie decidono di venire a vivere qui dopo il matrimonio, protette, scortate, isolate. Ci passano davanti in due minuti quattro uomini con armi nascoste dalla maglietta, il servizio di sicurezza destinato a questi coraggiosi abitanti, avamposti di una guerra che si combatte sottraendo territorio ai palestinesi, nei loro villaggi fuori città, come nel cuore dei loro antichi quartieri. Quattro bambini ci sfilano davanti, avranno sette anni. Sono ebrei, e sono scortati anche loro, un uomo armato li precede, un altro li segue, mentre camminano verso casa o forse verso la scuola.