Ci sono cose impossibili nella vita, come pulire la camera con il pensiero o teletrasportarsi ai Caraibi, dal proprio divano, in una giornata d’autunno. Ci sono cose impossibili nella vita, come girare per Gerusalemme senza vedere i militari.
Succede subito, in pieno giorno tra la folla di pellegrini o di notte nei vicoli bui della città vecchia. Li vedi a decine,centinaia, con le loro divise verdi e lo sguardo perso e spensierato. Hanno l’età delle matricole universitarie, di quei ragazzi che iniziano a camminare ma non hanno ancora la presunzione di farlo da soli.
Il ragazzone con gli occhiali a specchio e lo zaino ai piedi, la spilungona bionda che “guarda come il vestito gli calza a pennello”, il pel di carota che pare uscito dall’esame di maturità..
Ispirano energia e desiderio di scoprire, non fosse per le divise tutte uguali, verde militare e per quel fucile, così grande che sembra un giocattolo. Lo portano a penzoloni, appoggiato dietro la schiena o davanti, cascante, sul petto.
“E’ alto quasi quanto loro”, il primo pensiero. I giovani militari israeliani lo indossano con una spensieratezza forse apparente, sembrano non farci caso nelle loro scorribande frettolose su e giù per la città vecchia, nei tragitti affollati nei tram di Jaffa Road, alla stazione degli autobus mentre attendono in canottiera chissà quale destinazione.
Eccesso di sicurezza, sensazione di potere, rimozione abitudinaria: lo sguardo dei giovani israeliani raramente si posa sul grande fucile, mentre,io, non posso farne a meno. Mi sa un po’ di quei film americani dove il protagonista spara e ne uccide cinque per ogni proiettile, figurine che cadono a ripetizione sotto i colpi dell’eroe di turno. Forse così, si sentono, i ragazzi con il fucile grande a tracolla.
Un’esibizione di forza, un memorandum di guerra, un simbolo che fa un paese, tutti dubbi dell’osservatore, con una sola certezza: quei ragazzi che non saranno più gli stessi dopo aver portato sulle loro spalle quel fucile grande.
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