“Signora, può scendere Giacinto?” strilla Nicola al citofono, tutto sudato, il pallone sotto il braccio. Palleggia, corre, litiga, salta, parla, gioca con gli amici. Comincia così A sciuquè (A giocare! in dialetto pugliese) di Ivano Picciallo, andato in scena al Cinema Palazzo il 21 e 22 aprile. Lo spettacolo e la compagnia sono nati con Molodoj, un progetto di residenze artistiche del Cinema Palazzo per produrre cultura, in collaborazione con gli artisti e il territorio, dopo che l’occupazione dello spazio nel 2011 ha impedito l’imminente apertura di un casinò.
A Sciuquè racconta proprio la piaga sociale impropriamente definita ludopatia, il dramma della malattia, della solitudine e della dipendenza da “gioco” d’azzardo. Lo fa mettendo in scena il suo contrario e quindi il gioco vero, affidando il racconto quasi interamente al corpo con gli strumenti della fisicità, del contatto, dell’empatia. Si parte dal mondo dell’infanzia, dei sensi, del tempo dilatato, del divertimento spontaneo e inconsapevole. Cinque ragazzini con un’energia incontenibile irrompono sul palcoscenico e si muovono in uno spazio spoglio, che si trasforma con l’azione e con la luce. Gesti movimenti e voci narrano la storia di Nicola, non importa se le parole si perdono nel ritmo serrato delle filastrocche e nella foga dei loro dialetti fino a diventare solo suono e ritmo, la lingua immediata dell’istinto, dell’emozione che si trasmette, della risata contagiosa, dello strillo che sorprende. E’ tutto estremamente vero. Fa ridere A Sciuquè, fa ridere il bambino che si arrabbia con gli altri, quello che cade a terra e si fa male, quello che strilla più forte, quello che “non vale!”, ma che continua a giocare con gli altri perché “da soli non si può giocare, da soli ci si annoia”. L’emozione comune, lo stare insieme, non l’assenza del rischio -il rischio c’è sempre nei giochi dei bambini, segnano la differenza, coinvolgendo lo spettatore. Intanto i personaggi crescono, conoscono la sessualità, lo sballo, l’amore. Nicola ormai grande sposa Lucia: “salute, lavoro, famiglia: avevamo tutto… C’avevamo tutto”. Qualcosa si è incrinato. Lucia sembra impazzire, dapprima è muta, poi piange, si dispera, lo implora, gli chiede di smetterla con le bugie, poi lo lascia. La luce cambia, le voci cessano e cedono il passo ai suoni artificiali della slot machine, l’aria è tesa e carica. Figure cupe emergono dall’ombra alle sue spalle, Nicola geme e piange, a terra, la voce rotta, il corpo martoriato. Buio.
In Italia una simile caduta nel buio colpisce migliaia di persone ogni anno. Nonostante questo l’azzardo è ormai un fattore imprescindibile della politica fiscale nazionale, e il settore scoppia di salute. I dati dei Monopoli di Stato confermano un fatturato record per il 2015, con un gettito per l’Erario di 9 miliardi di euro contro gli 8,3 del 2014. Un settore che non conosce crisi, ma che, anzi dal 2008 è in crescita, con un volume movimentato di 88 miliardi nel 2015, contro gli 84,5 del 2014, ha registrato in un anno un incremento di 4 miliardi.
Il vicedirettore dei Monopoli di Stato Aronica, ascoltato in audizione in Commissione Antimafia, ha attribuito questo incremento all’emersione dal nero e alla legalizzazione della domanda, e non all’espansione del mercato e dell’offerta del gioco d’azzardo. “Oggi il circuito legale assorbe tutto l’ammontare clandestino e dell’illegalità“. Certo, a fronte dei 9 miliardi che incassa lo Stato, le stime più attendibili fissano a 23 miliardi il giro di affari generato dal gioco d’azzardo illegale, un fenomeno che non scompare con l’assorbimento nel circuito legale, semplicemente continua ad esistere al suo interno, e specificamente negli interstizi del rapporto tra i concessionari che prendono l’affidamento pubblico e i gestori che lo esercitano, senza il controllo dei primi, e al cui livello si verificano fenomeno persistenti di criminalità. Il Rapporto Annuale 2015 della Guardia di Finanza registra irregolarità nel 30% dei casi su 5.765 interventi effettuati presso sale giochi e centri di scommesse. La Relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia presentata a marzo in Parlamento fa riferimento al ruolo dei gestori, delle agenzie di scommesse e sale slot nel territorio, non per l’assorbimento dell’illegale ma al contrario per la ramificazione, attraverso questi snodi, degli interessi mafiosi nei territori. Nel discorso per l’inaugurazione dell’anno giudiziario il presidente della Cassazione Giovanni Canzio ha osservato che “i gruppi mafiosi si sono progressivamente radicati nel tessuto economico e sociale dei centri urbani ove, dedicandosi ad attività imprenditoriali apparentemente lecite, provvedono al riciclaggio di denaro proveniente dalle attività tradizionali come estorsioni, traffico illegale di droga, gioco d’azzardo e videogiochi, gestione delle sale scommesse”.
Si comprende in questo senso il ruolo cruciale degli enti locali per le scelte del governo dei territori e l’applicazione di provvedimenti di contrasto al gioco d’azzardo. Si comprendono in questo senso anche le pressioni delle lobby dell’azzardo sul governo per annullare o limitare l’autonomia degli enti locali, come nel caso del Decreto Baretta sul riordino in materia di giochi pubblici, poi lasciato cadere, che individuava nei giocatori ma anche negli stessi soggetti economici i destinatari delle misure di tutela da introdurre. Capita anche per esempio che un senatore PD, Mirabelli, presenti un ddl il cui testo a quanto pare proveniva direttamente dal computer di un dirigente dell’Agenzia dei Monopoli.
Tra un aumento della tassazione e altre misure introdotte sul gioco, la legge si stabilità 2016 ha varato per il 2016 l’istituzione di un Fondo per il gioco d’azzardo patologico-GAP con una dotazione di 50 milioni di euro assegnati al Ministero della Salute per la creazione di un osservatorio sul gioco d’azzardo, con qualche conflitto di interesse da chiarire. Ebbene la proposta ministeriale di ripartizione dei fondi finisce con il destinare meno della metà del fondo ai servizi alla persona e alla creazione di una reale offerta terapeutica.
Al di là dei finanziamenti, il ruolo dei cittadini, delle associazioni e degli spazi sociali è fondamentale per la salvaguardia di quel tessuto urbano economico e sociale infiltrato dalle mafie. Realtà territoriali che spesso costituiscono il primo fronte di resistenza al dilagare dei fenomeni connessi al gioco d’azzardo (povertà, malattia, criminalità) e la cui attività sociale volente o nolente supplisce all’assenza dello Stato, dei servizi, dei dispositivi del welfare in costante diminuzione. Spazi che rappresentano presidi di resistenza a quel “mondo di sopra” di interessi speculativo-mafiosi. Spazi che attraverso la creazione di legami di solidarietà e mutualismo costituiscono un argine all’impoverimento, e che con l’offerta spesso gratuita o comunque a prezzi popolari di sport, salute, cultura, socialità, sono il primo antidoto alle mafie.
Eppure a Roma sono molte realtà sociali territoriali vittime di provvedimenti burocratico-amministrativi che cancellerebbero queste realtà con il pretesto del riordino del patrimonio pubblico, dopo lo scandalo Mafia Capitale e l’istituzione di un governo commissariale della città.
Evidentemente non rientrano nel modello di gestione della città secondo la logica emergenziale, dei “grandi rischi”, dei grandi eventi e delle grandi speculazioni, non rientrano nel modello economico-finanziario basato sul profitto e che anzi scarica sul pubblico i costi sociali dei profitti privati, come il business dell’azzardo evidenzia così bene, con l’affidamento di concessioni pubbliche a soggetti privati.
La speculazione spreme i territori; prendiamo L’Aquila: nel 2009 il governo ebbe l’dea di fare cassa con l’azzardo introducendo le macchinette di nuova generazione, le VLT, con il Decreto per la ricostruzione dell’Abruzzo. A sette anni dal terremoto i soldi per la ricostruzione non sono mai arrivati, ma la spesa pro-capite in azzardo è cresciuta del 73,7% dal 2007 al 2012 e la provincia dell’Aquila è tra le più invase dalle macchinette –quelle in gran parte responsabili per il fatturato record nazionale.
Tra mafie e speculazioni, alcune realtà continuano a produrre nonostante le istituzioni e la narrazione mediatica mainstream, quel valore sociale che dovrebbe essere riconosciuto come fondamento e principio dell’iniziativa e della proprietà, pubblica e privata. Se l’idea di legalità che pretende di regolare la nostra società non discende da questo principio è inutile invocarla per coprire da una parte la corruzione e la criminalità che crescono alla sua ombra, per etichettare situazioni criminali dichiarandole legali, e dall’altra per giustificare l’attacco a quelle sperimentazioni legittime di costruzione dal basso di un modello di città che antepone i diritti della persona agli interessi della speculazione.