Ti respiro con gli occhi, e tu mi espiri coi tuoi. Lo stesso nero, ma di profondità e sfumature diverse. Il tuo di fumo, rovenza e pietra. Il mio di presenti che sarebbe comodo lasciarsi alle spalle, e di apertura totale. La stessa apertura del sorriso di un tuo bambino che mi cammina quasi contro, un po’ appiccicoso, succhiando la sua cannuccia rosa fosforescente, che poi è il rosa dei tuoi cavolfiori dal retrogusto acetoso.
Mi colpiscono i tuoi profumi. Le spezie che si mescolano all’aroma del miele, a quello di una donna a festa e all’immondizia, depositata proprio lì dove non si potrebbe lasciare. “Help to keep Jerusalem clean”.
E intanto il fumo del narghilè mi ricorda la foschia sul Mar Morto, il suo sapore salato quello imbevibile della difficoltà dei rapporti tra Stati. Tra le tue etnie, tra i tuoi quartieri, tra i tuoi palestinesi e i tuoi israeliani, tra ebrei e cattolici, tra ultra-ortodossi e musulmani, tra musulmani e non ho capito bene chi.
La testa è piena come le tue vie. Sento che mi sto lasciando penetrare dalle tue contraddizioni. Sento che mi stai confondendo e che sto assumendo parte della tua assurdità.
Tra le tue mura, Jerusalem, ho conosciuto un uomo che ne ha uccisi tre e ci è arrivato vicino con altri quattro. Fino a ieri l’avrei giudicato un assassino. In tua compagnia ho visto che aveva la congiuntivite all’occhio sinistro prima della sua azione. Ho visto il suo essere uomo, l’atrocità che ha compiuto ma non l’impossibilità di redenzione della sua vita.
Mi offri una spianata delle Moschee, mi offri un Sepolcro santo, mi offri migliaia di pietre su cui ognuno ha da dire la sua, circa chi ha fondato cosa. Mi offri un muro del pianto, sul quale si sono infrante diverse speranze. E io penso che la Storia sia una brutta storia, fino a quando non servirà a proiettarsi nel futuro, ma giustificherà l’incancrenimento nel passato.
E io ti restituisco spirali di pensiero, in cui vedo la memoria dei pesci rossi come l’unica soluzione e l’unica causa. Non capisco più niente, Jerusalem, e scelgo di andare a farmi un bagno al mare per schiarirmi le idee e per sgomberarmi la vista dai buchi dei proiettili lasciati sui muri della tua Lifta, che ti guarda di nascosto, da lontano ma non troppo, come una donna tradita incapace di perdono e desiderosa di riscatto.
E allora shalom (o salam?) Tel Aviv, le tue spiagge vivono come se non ci fosse un domani ed il divertimento andasse spremuto tutto oggi, secondo la regola “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”.
E intanto a Jenin un ragazzo di ventidue anni è morto. E le case con le bandiere israeliane non sono forme di simpatico patriottismo, quanto esercizio di potere malato e dilagante. Ma ciao, Tel Aviv, la birra è ancora fresca ed il sorriso si fa amaro.