Nella campagna della città palestinese di Tulkarem si vedono parecchie colonie israeliane. Filo spinato, recinzioni elettrificate e torrette con telecamere spuntano sulle cime di alcune colline. Dietro il recinto sorgono condomini dalle mura bianche con i tetti a spioventi di tegole rosse, anche se qui non piove mai. Le colonie sono oasi di verde artificiale, importato. Foreste di pini in una terra naturalmente secca. Alcune sono lottizzazioni enormi e lussuose, altre sono quartieri di edilizia intensiva, ecomostri che deturpano un paesaggio da presepe in cui molti appartamenti sono vuoti, pronti a ricevere famiglie in cerca di soluzioni abitative a basso costo, premiate da agevolazioni economiche, lavoro, scuole per i figli. Ma come nasce una colonia? E’ incredibile quando ci sei davanti, ma la colonizzazione di questa terra procede nel 2013 con metodi da Far West. Il popolamento di Israele nel progetto sionista aveva uno slogan: terra senza gente per gente senza terra. Nel Far East, per il governo sionista, la terra è sempre stata libera, vuota, a disposizione dei coloni. E gli autoctoni, i palestinesi, non sono mai esistiti. Sono come i pellerossa, i palestinesi, costretti oggi nel 13 per cento della loro terra originaria. Una riserva. Come nel Far West la terra si raggiunge e si occupa. Si conquista. Piantandoci una bandiera e poi sistemandoci caravans e containers prefabbricati destinati a resistere anche decenni. Tutt’intorno alla cima della collina conquistata si costruisce un recinto fortificato e un’alta torre di cemento grigio in cui soldati dell’esercito israeliano presidiano e proteggono l’insediamento in embrione. Poche famiglie abitano nella colonia in embrione. E’ piccola, ma è un fortino. La osserviamo e l’immaginazione corre: case spartane, abitudini spartane, donne con il fazzoletto in testa e la gonna lunga, come ne vedi tante a Gerusalemme, tanti bambini e uomini con il cappello nero a falde larghe e un fucile pronto all’uso, perché ogni colono può legittimamente possedere un’arma, anche le donne. Ti chiedi che vita si può fare lì. Una vita piena d’odio, convinti di essere circondati dal nemico, in guerra per la propria esistenza. Anche se sei palestinese ti senti invaso, minacciato, espropriato, isolato. Ma se ruoti il punto di vista, chi è isolato?